Il complesso monastico: brevi cenni storici
Il complesso monastico di S. Maria Bianca della Misericordia affonda le sue radici nel 1404, anno in cui il nobile milanese Pietro Tanzi, proprietario di una villa, di una chiesetta dedicata a Santa Maria Bianca e di alcuni terreni in Casoretto, chiede al priorato di S. Maria della Frigionaia di Lucca – dell’Ordine dei Canonici Lateranensi – l’invio di alcuni religiosi per officiarla.
In ottemperanza alle volontà testamentarie del Tanzi, alla sua morte tutti i suoi beni e le sue proprietà passano alla nuova comunità religiosa che il 28 agosto 1406 elegge un priore. Da questo momento la chiesa e il monastero costituiscono una importante sede della congregazione dei Canonici Regolari Lateranensi.
La comunità godette del favore dei duchi di Milano, prima dei Visconti e poi degli Sforza, e in eguale misura della munificenza di numerosi donatori, che attraverso cospicui lasciti contribuirono all’edificazione del monastero. La costruzione della chiesa risale al 1470-1480 ed è attribuita all’ambiente dei Solari, famiglia di architetti lombardi che lavora alla costruzione di importanti chiese milanesi quali Santa Maria delle Grazie e San Pietro in Gessate.
Fu impostata a tre navate coperte in origine da volte a crociera sorrette da colonne di serizzo con archi ad ogiva. La facciata, a capanna, fu corredata dal portale maggiore in serizzo, presumibilmente gli inizi del Cinquecento, ed è preceduta da un sagrato in acciottolato raffigurante la “rosa mistica” che connota a partire dall’ingresso la dedicazione mariana della chiesa. Il campanile fu completato nel 1490. Nella seconda metà del Quattrocento, inoltre, il monastero fu sede di un’importante biblioteca umanistica.
Nel 1566, per volontà di papa Pio IV il convento fu investito della dignità abbaziale.
L’interno della chiesa fu completamente rimaneggiato intorno alla fine del Cinquecento: fu trasformato il transetto, fu costruito il tiburio, le colonne furono incorporate in massicci pilastri, le crociere della navata maggiore furono occultate da una volta a botte e le navate minori furono trasformate in cappelle.
Visitato più volte da San Carlo Borromeo, nei primi decenni del Seicento il monastero ebbe un periodo di gran fervore di vocazioni e divenne un centro di preghiera molto frequentato, per poi conoscere un periodo di lento declino che si concluse nel 1772 quando la canonica lateranense fu soppressa e la chiesa divenne coadiutoria di Turro. Furono 250 capifamiglia di Rottole, Casoretto, Rottorelle, Acqualonga e Fontanile a scrivere una supplica al cardinale Ferrari per fare della chiesa una nuova parrocchia; il 29 settembre 1903 il cardinale esaudì la petizione emettendo il decreto di erezione della nuova parrocchia.
La chiesa parrocchiale
Nel 1927 la chiesa e il chiostro sono interessati dai lavori di restauro dell’architetto Annoni, che ridona alla facciata della chiesa il suo aspetto quattrocentesco e sistema gli ambienti interni del chiostro ad uso di canonica ed asilo infantile.
Nel 1942, nell’interno della chiesa opera l’architetto Ugo Zanchetta che per esigenze di spazio demolisce i tramezzi che suddividevano le cappelle cinquecentesche, crea il coretto a sinistra del presbiterio, abbatte il muro perimetrale del fianco settentrionale della chiesa, occupando parte del porticato del chiostro e dando origine alla cappella del Sacro Cuore di Gesù e al nuovo altare della Madonna Bianca.
All’esterno, l’architetto interviene anche sul cono cestile del campanile, rifatto imitando le forme della parte cuspidale del campanile rappresentato sullo sfondo della pala dell’altare maggiore.
Gli ultimi restauri, a cura dell’architetto Franco Tandoi, risalgono al 2002 e riguardano il chiostro per poi interessare la facciata dell’antico monastero verso via Mancinelli, che presenta alcuni elementi architettonici trecenteschi; questa scoperta è tuttora oggetto di studio presso la Soprintendenza dei Beni Architettonici. Il chiostro di Casoretto, nonostante i palesi rifacimenti, costituisce un esempio unico a Milano per tipologia architettonica. La peculiarità del medesimo è costituita dal grande spazio architettonico posto a separazione degli archi a tutto sesto e delle bifore, tipologia non presente in altri chiostri coevi della città.
Le due campane maggiori subirono la requisizione per scopi bellici, per poi essere reintegrate nel 1950; nel 2022 il concerto di campane ha subito un importante restauro con l’aggiunta di una nuova campana. L’interno della chiesa è attualmente interessato dai lavori di spostamento del fonte battesimale dal coretto alla testata destra del transetto.
Principali opere pittoriche
L’affresco della Madonna Bianca
L’affresco della Vergine adorante Gesù Bambino è ubicato dal 1959 presso la cappella della Madonna Bianca della Misericordia, sulla testata sinistra del transetto, in seguito ai lavori di sistemazione della chiesa condotti dall’architetto Ugo Zanchetta. Precedentemente, il dipinto murale era collocato presso la quarta cappella a destra – oggi non più esistente – detta Dardanoni, dove fu traslato, presumibilmente, dall’antica cappella dei canonici presso il convento, il 17 aprile 1594, come documenta l’iscrizione tuttora visibile sotto l’immagine della Madonna adorante: “LA VERA ANTICHA ET DEVOTA EFFIGIE DI SANTA/ MARIA BIANCA DELLA MISERICORDIA DI COSERET/ TO TRASPORTATA L’ANNO MDXCIIII A DI XVII/ APRILE”.
La scena raffigurata è molto semplice: la Vergine, vestita di un abito bianco bordato d’oro, i capelli lunghi e biondi sciolti sulle spalle e le mani incrociate sul petto, flette leggermente un ginocchio in atto di adorare il bambino nudo, disteso sull’erba. Due cartigli riportano la seguente iscrizione: “ECCE MARIA GENVIT / NOBIS SALVATOREM” (“Ecco Maria partorì per noi il Salvatore”).
Si tratta di un soggetto ampiamente diffuso in area lombarda a partire dagli anni Settanta del Quattrocento di cui il dipinto di Casoretto costituisce un esempio cronologicamente assai precoce e la cui iconografia si ispira a un testo di mistica medievale del XIV secolo, le Revelationes di Santa Brigida di Svezia. L’immagine, strettamente imparentata ad alcune miniature quattrocentesche di area lombarda, presenta un alto livello qualitativo messo in luce dal restauro conservativo eseguito nel 2000 da Giuseppina Suardi, sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici, e si inserisce a pieno titolo fra le principali testimonianze della pittura tardogotica lombarda, con rimandi allo stile della bottega degli Zavattari e di Bonifacio Bembo.
Il trittico della Resurrezione
Nella navata destra della chiesa, all’altezza della seconda campata, è conservato un trittico quattrocentesco raffigurante la Risurrezione di Gesù Cristo tra S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista e, nella cimasa, Dio Padre Benedicente. Alla scena assistono due personaggi inginocchiati ritratti di profilo, a sinistra Giovanni Melzi e a destra la consorte Brigida Tanzi.
L’ubicazione del dipinto è quella dell’originaria cappella quattrocentesca, dotata dal conte palatino Giovanni Melzi come luogo di sepoltura per sé e per la moglie. Il Melzi, dottore in legge, dopo essersi distinto all’epoca della Repubblica Ambrosiana come ambasciatore presso la Repubblica Veneta (1447-1450), aveva ricevuto importanti nomine nel 1456 da Francesco Sforza e in seguito dal suo successore Galeazzo Maria: l’apice della carriera era stata suggellata dalla nomina a conte palatino nel 1468, per volontà dell’imperatore Federico III, a quella di consigliere ducale nel 1479 per volere del duca di Milano. Il rapporto fra il Melzi e il convento è confermato oltre che dall’appartenenza all’ordine del nipote Gaspare Melzi, anche da alcune donazioni di terre attestate nel 1480, lo stesso anno in cui il nobile dotò l’altare; presumibilmente entro il 1482, anno a cui risalgono le ultime notizie che lo riguardano, commissionò il trittico della Risurrezione.
Restaurate nel 2001, le tavole, attribuite in passato al Bergognone, sono state ricondotte alla mano di Giovanni Ambrogio Bevilacqua, detto il Liberale, seguace del più noto pittore lombardo. Nato intorno al 1460 a Milano, dopo aver svolto il proprio apprendistato di pittore per la durata di tre anni (1474-1477), il Bevilacqua risulta immatricolato nel 1481 alla Scuola milanese dei pittori di San Luca. In questo periodo egli eseguì il trittico per la chiesa di Casoretto, che appartiene ad una fase giovanile della sua produzione pittorica.
Nell’opera lo scomparto centrale raffigura il Cristo risorto, ritto sul sarcofago presentato in forte scorcio, la mano destra alzata in segno di vittoria, quella sinistra sorreggente un vessillo, rivestito di una veste bianchissima, bordata d’oro; in primo piano vi sono due soldati addormentati, sullo sfondo a destra un paesaggio roccioso, a sinistra collinare. La figura dello scomparto sinistro, il S. Giovanni Battista, vestito di pelli e sorreggente l’agnello, suo attributo iconografico, tocca con la mano destra in segno di protezione la figura del committente, abbigliato con una preziosa veste in damasco di colore rosso. Analogo il gesto del secondo santo, il S. Giovanni Evangelista che tiene sotto la propria protezione la figura di Brigida Tanzi, pure vestita secondo la moda del tempo e dalla testa avvolta dall’infula, una cuffia bianca liscia adorna di veli. Sullo sfondo, nei due scomparti laterali, al di là di un parapetto in marmo rosa è dipinto un cielo levigato d’azzurro, elemento unificante di tutte le tavole del polittico. Il Padre Eterno della cimasa, con il busto scorciato, incombe sulla scena sottostante. La predella del trittico, raffigurante il Cristo tra i dodici apostoli, è stata probabilmente eseguita da un’altra mano, caratterizzata da un grafismo accentuato, da una resa più preziosa del modellato e degli incarnati.
Omaggio dell’Ordine dei Canonici Regolari Lateranensi di Casoretto alla Vergine Maria
Collocata sulla parete di fondo del presbiterio e inserita in una pregevole cornice lignea del Seicento, entrambe restaurate nel 2008, la tela rappresenta due figure inginocchiate: sulla sinistra un papa, con la tiara appoggiata ai piedi, forse identificabile in Gregorio VII (canonizzato nel 1606), sulla destra un prelato con gli attributi della mitra e del pastorale, presumibilmente un abate del convento dei Canonici Regolari Lateranensi di Casoretto: i volti dei due personaggi con espressione di meraviglia sono rivolti verso il cielo dove, in un turbinio di nuvole e angioletti, la figura della Vergine inginocchiata intercede presso Gesù Cristo. Sullo sfondo è raffigurato con grande precisione il complesso monastico di Casoretto, con la chiesa, il campanile originale, i due lati del chiostro, la svettante costruzione a tre piani del convento: sulla sinistra, al di là di un muro di cinta, un bellissimo prato rende l’idea del contesto originario, fatto di broli e ortaglie.
La rappresentazione miniaturistica del convento costituisce un importante documento figurativo dell’aspetto architettonico del complesso monumentale entro il terzo decennio del Seicento, epoca a cui è riconducibile la pala, e mette in evidenza le modifiche successive, come la scomparsa della finestra barocca della facciata – avvenuta nel 1927 durante i lavori di restauro – e quella del terzo piano dell’edificio monastico – in epoca imprecisata.
All’inizio del Novecento fu il primo parroco della chiesa, don Carlo Villa, a interpretare il soggetto come “la gloria dell’Ordine dei Canonici Lateranensi: ovvero l’omaggio del detto Ordine alla Vergine nella dedicazione di questa chiesa a lei consacrata”. Seppure ignoto, il pittore che ha realizzato l’opera risulta saldamente ancorato alla tradizione della pittura controriformata lombarda, come rivela lo stile figurativo che si ispira all’arte di Camillo Procaccini, ma che mostra legami anche con la pittura di area cremonese – bergamasca.
La cornice lignea presenta un repertorio decorativo che recupera elementi tardomanieristi: teste alate, festoni di fiori e frutta e volute, il motivo a dentelli della cornice superiore dell’architrave, il timpano spezzato e la cimasa recante le iniziali della frase “ECCE GENUIT / MARIA / NOBIS SALVATOREM”, la stessa che si trova nel cartiglio dell’affresco quattrocentesco della Madonna adorante il Bambino presso l’altare sulla testata sinistra del transetto della chiesa.
L’affresco dell’antica sala capitolare
Nel 2002, nel corso dei restauri dell’antica sala capitolare, sono stati ritrovati sulla parte ovest alcuni lacerti di un affresco seicentesco di scuola lombarda raffigurante San Carlo e Federico Borromeo, entrambi in vesti cardinalizie e in atteggiamento docente. I due prelati sono sovrastati dalla Colomba dello Spirito Santo, sotto la quale si leggono le parole latine “SPIRITVS/ SAPIENTIAE ET INTELLECTUS” (“Spirito di sapienza ed intelletto”); lo Spirito Santo è dunque inteso come donatore di sapienza ed intelletto e non è un caso ritrovare queste scritte proprio nella sala capitolare, luogo di dispute teologiche e in cui era necessario che l’aiuto divino si mostrasse ai religiosi sotto forma di sapienza.
Circa a San Carlo Borromeo, sembra si ritirasse spesso in preghiera nel monastero, come è dato intendere dall’epigrafe incisa sull’architrave del portale di accesso alla sala, che attesta inoltre il grande affetto dei Canonici nei riguardi del loro arcivescovo: